È rimasta tale, evidentemente. Solo che le uova d’oro
finiscono direttamente dal casello alle tasche dei Gavio o dei Benetton, che
non a caso guidano la classifica dei Paperoni 2017: il patrimonio dei primi è
cresciuto del 101 per cento, passando da 1,9 a 3,9 miliardi di euro; il patrimonio dei
secondi è cresciuto del 20,2 per cento, passando da 6,8 a 8,1 miliardi di euro.
Fortunati loro, si capisce. Ma noi potremo almeno chiederci se è giusto farci
spennare al casello per renderli sempre più ricchi?
In questi anni ci si è fatti molto spesso (ma sempre molto
sommessamente) diverse domande. Per esempio: perché l’Iri vende una gallina
dalle uova d’oro? Perché a quel prezzo? E perché lo fa subito dopo che la società Autostrade
ha ottenuto il rinnovo della concessione fino al 2038? L’economista Giorgio
Ragazzi, che ha studiato a fondo la materia, sostiene che in quel momento l’Iri
non aveva bisogno di far cassa, dal momento che gli obiettivi di risanamento
finanziario per l’entrata nell’Ue erano già stati raggiunti: perché vendere
quel tesoro, allora? E perché venderlo senza mettere clausole più severe sulle
tariffe? Oppure chiedendo in cambio più soldi, come è accaduto in altri Paesi
europei? La vendita della gallina delle uova d’oro, infatti, rese allo Stato
6,7 miliardi di euro. Se non fosse stata venduta, in questi vent’anni avrebbe
portato nelle casse pubbliche molto di più.
Invece quei soldi sono finiti ai privati. E, a proposito di
privati e di soldi, mi sia concesso un inciso: lo sapete chi era il presidente
dell’Iri fra il 1997 e il 1999, cioè quando sono state prese le decisioni
fondamentali per la privatizzazione delle autostrade? Gian Maria Gros-Pietro,
pezzo grosso dell’economia italiana, professore universitario alla Luiss,
origini torinesi, frequentazioni in tutti i salotti che contano, forte amicizia
con Prodi. E lo sapete che incarico ha avuto, dopo la privatizzazione delle autostrade,
il professor Gros-Pietro? Fra il 2003 e il 2010 è stato presidente di Atlantia,
la società del gruppo Benetton che controlla, per l’appunto, le autostrade
privatizzate.
Succede anche questo in Italia: uno è presidente di una
società pubblica, vende a un privato un pezzo del suo impero e poi va a
lavorare con il medesimo privato. Tutto legale, tutto regolare, come il
compenso che Gros-Pietro percepiva dai Benetton: oltre 1 milione di euro
l’anno. Fra l’altro: adesso il professore ha cambiato azienda, ma è rimasto nel
settore. È diventato presidente della Astm, la holding che controlla le
autostrade private del gruppo Gavio. Si deve accontentare di 340.000 euro
l’anno che però arrotonda con i 900.000 euro che gli dà Intesa Sanpaolo, dove è
presidente. A lui, se non altro, il rincaro al casello non pesa troppo.
I Gavio incassano 3,5 milioni di euro al giorno
Andate in autostrada da Milano a Torino? Date un contributo a
Gavio. Andate da Parma a La Spezia? Date un contributo a Gavio. Andate da
Torino a Piacenza? Da Torino ad Aosta? Da Torino a Savona? Non cambia nulla:
date sempre un contributo a Gavio. E anche se andate da Savona a Ventimiglia,
sull’autostrada dei fiori. O se vagate sull’autostrada toscana fra Sestri
Levante, Livorno, Lucca e Viareggio. O se attraversate il traforo del Fréjus. O
il traforo del San Bernardo. O le tangenziali di Torino.
Non potete scappare: in ogni caso, volenti o nolenti, quando
passate dal casello, lasciate un obolo per rendere sempre più grande l’impero
dei signori di Tortona. Sono entrati nel settore autostrade nel 1995 con un
piccolo investimento. Si trovano oggi a capo del quarto gruppo mondiale. Le
loro due principali società quotate in Borsa valgono 3,9 miliardi di euro.
In Italia i Gavio gestiscono 11 concessioni, per un totale di 1460 chilometri di
asfalto. Nell’ultimo anno (2016) hanno incassato, solo di pedaggi,
1.239.342.464 euro, cioè quasi 3,5 milioni al giorno. Proprio così: i signori
di Tortona hanno un negozio che ogni giorno che il buon Dio manda sulla Terra
mette in cassa 3,5 milioni di euro. Guadagni quasi sicuri, rischi quasi nulli.
Una bella fortuna, no? Saranno pure bravi, nessuno lo mette in dubbio. Ma lo
Stato è sempre stato piuttosto generoso con loro. Lo dimostra il fatto che
alcune di queste concessioni proseguiranno ancora per anni e anni: una scade
nel 2031, un’altra nel 2032, un’altra nel 2035, un’altra nel 2038, una
addirittura nel 2050. Il 2050, ci pensate? Se sarò al mondo, avrò 84 anni. E la
mia unica certezza è che i Gavio saranno ancora lì, ad aspettarmi al casello
per chiedermi l’obolo…
Sapete qual è la giustificazione di queste concessioni così
lunghe? Sempre la
stessa. Dicono di dover recuperare il denaro investito.
Abbiamo già visto che non è così, abbiamo visto che le concessioni si prolungano
ben oltre il recupero dei capitali investiti, ma tant’è: i Gavio vengono da
Tortona, terra di timorati e timorassi, e vogliamo metterli alla prova.
Facciamo due conti: fra il 2008 e il 2016 le concessionarie del gruppo, come si
vede dalla seconda tabella a fine paragrafo, si erano impegnate a fare
investimenti per 5,3 miliardi.
Ne hanno effettuati in realtà solo 3,1, cioè all’incirca il 60
per cento del dovuto. In compenso nello stesso periodo la holding dei Gavio ha
messo a disposizione dei soci utili per 522 milioni di euro. Quindi la domanda
è la seguente: chi ottiene una concessione fino al 2050 per fare investimenti,
non dovrebbe almeno avere il buon gusto di farli? E se invece ne fa 2 miliardi
in meno, è giusto che si metta in tasca mezzo miliardo di utili? In altre
parole: perché gli automobilisti devono pagare i mancati investimenti e le
tariffe sempre più alte, mentre alcuni privati, benedetti dal casello, si
arricchiscono alle loro spalle? (…)
Benetton/1. United Colors of Pedaggio
Chi mi ama mi segua. Ma prima paghi il pedaggio al casello.
C’era una volta un’impresa simbolo del genio italico, Nordest creativo, colori
e futuro, cardigan e pubblicità. La Benetton e quegli slogan choc di Oliviero
Toscani: chi se li dimentica più? Solo che oggi andrebbero un po’ rivisti.
Bisognerebbe dire, per esempio: United Colors of Pedaggio. Oppure: non avrai
altro Telepass al di fuori di me. E al posto del corpo scheletrico
dell’anoressica ci dovrebbe essere il borsellino dell’automobilista,
altrettanto prosciugato.
La famiglia di Treviso, che partì povera e si arricchì con i
vestiti, si appresta oggi a diventare leader mondiale delle autostrade, grazie
all’acquisizione della spagnola Abertis. In Italia leader delle autostrade lo è
già: attraverso le sue holding gestisce 3020 chilometri dei
5886 dati in concessione dal ministero dei Trasporti. Quindi oltre la metà. Sono 6 diverse
concessioni che coprono una quantità infinita di tratte, dal Nord al Sud, a
cominciare dalla Milano-Napoli, passando poi per la Milano-Serravalle, la Voltri-Gravellona Toce,
la tangenziale di Napoli, il Traforo del Monte Bianco, l’autostrada Tirrenica,
l’autostrada della Valle d’Aosta…
Ogni anno 2 miliardi di transiti al casello: ciò significa 5
milioni e mezzo al giorno, 230.000 l’ora, 63 al secondo. Proprio così: ogni
secondo che passa ci sono 63 veicoli che stanno versando il loro generoso obolo
nelle casse dei Benetton. Provate a contare: un secondo. Ne sono passati 63. Un
altro secondo, zac: altri 63. Sentite il tintinnar dei quattrini?
Non ci si può stupire se, in questo modo, si costruisce un
impero. Laddove c’era il maglioncino, adesso c’è un colosso delle
infrastrutture, che si estende dal Cile all’India, dal Brasile alla Polonia,
gestisce gli aeroporti di Roma, compra gli aeroporti (tre) della Costa Azzurra,
ha imprese di costruzioni e ingegneria, e controlla pure il monopolio del
Telepass. Nel 2016 ha
incassato 5,4 miliardi di euro, in Borsa ne vale circa 8,1.
La maggior parte delle entrate arriva proprio dalla gestione
delle autostrade, soprattutto da quando maglioncini e vestiti trendy hanno
perso creatività e forza innovativa, come ha ammesso lo stesso Luciano Benetton
in una storica intervista a «Repubblica» (30 novembre 2017) in cui, a 82 anni
suonati, ha annunciato: «Torno in azienda. Avevo lasciato i manager ma loro
hanno spento i colori. Ci siamo sconfitti da soli». (…)
Come non capirli? Contraddire il potente Castellucci è sempre
pericoloso, mettersi contro la lobby autostradale al sapor di radicchio e
maglioni colorati è sconsigliato. Però, scusate l’ardire, noi non possiamo fare
a meno di leggere i dati ufficiali: tra il 2008 e il 2016 le tariffe sulla rete
gestita dai Benetton sono aumentate del 25 per cento, ben oltre l’inflazione.
Sul tratto autostradale della Val d’Aosta addirittura del 50 per cento. Se
l’avesse fatto Gaetano al Bar Sport di Usmate-Velate la gente sarebbe scappata
in massa. Invece dall’autostrada si può scappare solo un po’. È per questo che
al casello i ricavi aumentano anche quando il traffico diminuisce, chiaro no?
Passiamo agli investimenti: nonostante l’indiscutibile
risultato ottenuto con il valico dell’Appennino, la «società che investe di
più» indubbiamente investe meno del previsto: manca almeno 1 miliardo e mezzo a
quanto concordato al momento della concessione, che proprio per questo era
stata prolungata fino al 2038. Avete capito bene: la concessione (stiamo
parlando di quella di Autostrade per l’Italia, la più importante delle 6, che
riguarda 2857
chilometri su 3020) dura fino al 2038 perché i Benetton
avevano promesso quasi 10 miliardi di investimenti.
Qualcuno che protesta? Macché: silenzio generale.
(…) in questi otto anni l’azienda, con i soldi incassati
grazie a tariffe sempre più alte, non solo ha fatto shopping nel mondo, non
solo ha aumentato il suo patrimonio, ma ha anche distribuito copiosi dividendi
ai suoi soci. Tre miliardi e mezzo, euro più, euro meno. Non è bellissimo? Un
miliardo e mezzo di investimenti in meno, 3,5 miliardi di soldi in più in
saccoccia. (…)
Benetton/2. Quanti regali ai signorotti di Treviso
Inutile dire che anche la concessione autostradale ai
Benetton, come quella ai Gavio, viene prolungata (ripetiamo: fino al 2042)
automaticamente. Senza che venga indetta alcuna gara. Eppure sarebbe
obbligatorio in base alle regole europee, oltre che conveniente. Per aggirare
l’impiccio di Bruxelles, e scialare in santa pace, viene usato, però, sempre lo
stesso escamotage: ci si appiglia cioè agli investimenti (in questo caso la
Gronda di Genova, la terza e la quarta corsia in Emilia e Toscana),
dimenticando che in fondo quegli investimenti erano già previsti nei piani
finanziari, e dunque negli aumenti di tariffa autorizzati negli anni passati.
Ma che ci volete fate? Noi siamo fatti così. Generosi. (…)
Lo dimostra il caso della tratta tirrenica, 202 chilometri
previsti e mai completati fra Livorno e Civitavecchia, sempre gestiti dalla
società che fa capo a Treviso. A tutt’oggi i chilometri aperti sono appena 55,
il piano di investimenti è fermo al 12 per cento di realizzazione (dodici per
cento!), eppure la concessione è stata prolungata dal 2028 al 2046. Perché?
Perché sì. L’Europa ci ha provato in tutti i modi a dissuadere l’Italia dal
fare questo regalino senza motivo. Niente da fare. Noi testardi come dei muli.
Quando c’è da dare una mano ai Benetton non ci fermiamo davanti a nulla.”