giovedì 28 marzo 2019

Perchè non unire le elezioni? Risponde il Fatto Q.


Pongo, da profana, una domanda forse inutile. Ma non sarebbe possibile fare una normativa per cui le elezioni comunali o regionali siano nello stesso giorno? Bisognerebbe la prima volta accorciare il periodo in carica di qualche giunta ma poi si andrebbe a regime.

Perché con queste continue elezioni distribuite nell’arco dei mesi i partiti, invece di pensare ai problemi del paese, sono in perenne campagna elettorale, tutti pensano solo come guadagnare voti con promesse puntualmente disattese e lasciano inevase le varie problematiche da affrontare, senza contare quanto ci stressano sui giornali e in televisione con le promesse prima e le “vittorie” (o presunte tali) dopo.
(MS)


Risponde Salvatore Cannavò sul Fatto Quotidiano del 28/03/19

Cara Monica,
in realtà la legge esiste già (anzi, nella tipica forma legislativa italiana ne esistono diverse) e infatti il governo ha dato via pochi giorni fa all’election day il 26 maggio, data delle Europee, con un apposito provvedimento che accorpa nella medesima data l’elezione dei sindaci e dei consigli comunali, “nonché l’elezione dei consigli circoscrizionali da tenersi nel periodo compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno”. Dopo il 26 maggio si voterà poi, all’eventuale turno di ballottaggio, il 9 giugno”. E allora, si chiederà, perché in Basilicata si è votato a marzo e così anche in Abruzzo e Sardegna e si voterà, ancora, a fine anno in Emilia Romagna? Perché, se la legge 15 luglio 2011 n. 111, recita che “le consultazioni elettorali per le elezioni dei sin- daci, dei presidenti delle Province e delle Regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, si svolgono, compatibilmente con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, in un’unica data nell’arco dell’anno”, la legge 2 luglio 2004 n. 165 dice anche che “le elezioni dei nuovi consigli hanno luogo non oltre i sessanta giorni successivi al termine del quinquennio”.

Quando scade la legislatura di un Consiglio si deve votare, in- somma, e infatti il Tar della Basilicata ha accolto un ricorso del M5S che ha chiesto di non far slittare il rinnovo del consiglio regionale, in una regione in cui la giunta era indagata, fino alle Europee di maggio ma ha imposto il voto il 24 marzo. Questo non toglie, come lei scrive, che la classe dirigente politica potrebbe fare uno sforzo in più per gli accorpamenti e che il balletto della propaganda elettorale fatta ogni giorno dell’anno sia diventato indigesto.
 

martedì 26 marzo 2019

Il Pd continua nei suoi errori


Anche in Basilicata il Pd continua a perdere voti. L’arrivo di Zingaretti evidentemente non ha dato linfa al partito. Pur trattandosi di elezioni regionali, è chiaro che il voto è lo specchio del paese. Il Pd continua negli stessi errori, va a ripescare persone della vecchia politica che già hanno dato e di cui si ricordano i danni. Inoltre continua nel suicidio politico continuando ad appoggiare l’immigrazione e proponendo nuovamente lo ius soli.

Forse, oltre a voler aiutare cooperative e ong che sull’immigrazione ci lucrano e contano sul Pd per continuare a farlo, il partito è alla disperata ricerca di voti facili e spera, illudendosi,  nell’immigrato. La sinistra continua così, insieme ad alcuni giornali e tv che incolpano Salvini di ogni fatto negativo (persino giustificando un personaggio come il senegalese sequestratore di bambino),  a regalare voti alla Lega. Complimenti perché non hanno ancora niente di cosa chiedono i cittadini stanchi e delusi.

(MS)

venerdì 22 marzo 2019

Il M5S deve stare in guardia

La brutta faccenda di Marcello De Vito del M5S, arrestato per corruzione, dimostra che nessuno è immune dal sistema marcio italiano.
Quando i numeri diventano grandi, come nel caso del M5S negli ultimi anni, e le persone sono “pulite” nel momento in cui vengono elette o nominate, è difficile sapere in anticipo chi potrà farsi influenzare dal “sistema” o chi addirittura si infiltrerà nel movimento per rovinarlo.


E quindi anche il M5S ha le sue mele marce ma almeno, a differenza degli altri partiti, li espelle se e quando vengono scoperti. Molto difficile che non vi saranno altri casi nel tempo, la politica ha sempre rovinato parecchie persone attratte dal denaro facile o da poltrone ben pagate. E’ importante affrontare queste problematiche in modo duro per scoraggiare altri a comportarsi nella stessa maniera.

Il M5S ha quasi tutta l’informazione contro e un’opposizione molto accanita nel cercarne gli errori, governare è molto più difficile che stare all’opposizione dove tutto appare possibile in maniera facile, l’attenzione deve sempre rimanere molto alta.
(MS)

giovedì 21 marzo 2019

Il M5S caccia i furbi, gli altri partiti li premiano

A leggere le intercettazioni che hanno portato all’arresto di Marcello De Vito si resta spiazzati. Vacilla la bandiera dell’onestà, senza ombra di dubbio il vessillo più riconoscibile dei Cinque stelle.

Eppure, al contrario di chi dalle opposizioni stupidamente accusa i pentastellati di essere uguali a tutti, cioè a loro, e in questo lasciandosi andare a un’ammissione di colpa neanche troppo implicita, resta una differenza siderale e che, per dovere di cronaca, è doveroso riconoscere: Luigi Di Maio ha immediatamente espulso De Vito dal Movimento, specificando che il suo stesso comportamento offende quanto costruito in questi anni.


Le domande sorgono spontanee: Matteo Renzi ha mai fatto una cosa del genere? Matteo Salvini? Giorgia Meloni? Silvio Berlusconi? Avrà un simile comportamento Nicola Zingaretti? La risposta è nelle storie, passate e presenti, dei tanti indagati, imputati, condannati e pregiudicati che nei vari partiti hanno sfilato restando comodamente seduti ai loro posti (spesso di comando). L’elenco, come si può immaginare, è elefantiaco. Per comodità, dunque, ci fermeremo a chi siede negli scranni parlamentari in questa legislatura.

Cominciamo da chi ha sul groppone, suo malgrado, una condanna in via definitiva. Non si può non partire da Silvio Berlusconi che, pur non essendo parlamentare, tiene in mano le redini di Forza Italia, e da Umberto Bossi, attuale senatore e fondatore del Carroccio. Tra i condannati in via definitiva spicca pure il senatore forzista Paolo Romani, ex candidato di Berlusconi alla presidenza del Senato, sul cui groppone pesa una condanna definitiva a un anno e 4 mesi per peculato. Ma la lista, ovviamente, è molto più lunga. A Palazzo Madama siede anche il berlusconiano doc Salvatore Sciascia, condannato a 2 anni e mezzo per le tangenti alle Fiamme Gialle. A Montecitorio invece siedono Vittorio Sgarbi, condannato in via definitiva per truffa ai danni dello Stato (per tre anni avrebbe disertato il suo ufficio alla Soprintendenza di Venezia), e Antonio Minardo, condannato a otto mesi per abuso d’ufficio.


La lista di chi ha problemi con la giustizia, però, è decisamente lunga. Cominciamo dalla Lega. Per lo scandalo rimborsopoli in Piemonte sono fioccate condanne in primo grado per il capogruppo leghista a Montecitorio, Riccardo Molinari (11 mesi) e il membro della commissione Vigilanza Rai Paolo Tiramani (1 anno e 5 mesi). Per la stessa ragione è stata condannata anche la meloniana Augusta Montaruli (1 anno e 7 mesi). Se saltiamo dal Piemonte alla Liguria, ecco che troviamo per un altro scandalo rimborsopoli il sottosegretario Edoardo Rixi, per cui la procura ha chiesto una condanna a 3 anni e 4 mesi. Stessa sorte per il senatore ed ex presidente del consiglio regionale Francesco Bruzzone. La sentenza è attesa per fine maggio.

Per lo scandalo delle “spese pazze” alla Regione Lombardia va anche peggio: un anno e 8 mesi per Massimiliano Romeo, attuale capogruppo della Lega al Senato. Condannati anche i due ex consiglieri, oggi deputati, Jari Colla e Fabrizio Cecchetti. Nell’elenco c’è anche Cinzia Bonfrisco, accusata di corruzione e associazione a delinquere nell’inchiesta sul Consorzio Energia Veneto. Se restiamo nelle file leghista del Governo, non c’è solo Rixi ad avere guai con la giustizia. A proposito di sottosegretari, non si può non menzionare, Armando Siri, che ha patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta; e Massimo Garavaglia, sottosegretario all’Economia, a giudizio per turbativa d’asta.


Le “spese pazze” coinvolgono anche il Pd. Il deputato laziale ed ex consigliere regionale Bruno Astorre (Pd) che risulta, almeno fino a gennaio 2018, imputato nell’inchiesta sui rimborsi e le spese di rappresentanza del gruppo dem in consiglio regionale, insieme all’attuale onorevole Claudio Mancini. Per inciso: Astorre è il nuovo segretario Pd nel Lazio. Ma d’altronde non sorprende considerando che indagato, questa volta per finanziamento illecito, è anche Nicola Zingaretti, per quanto raccontato in questi giorni da L’Espresso. Nell’elenco non poteva mancare Luciano D’Alfonso, imputato per truffa e indagato per falso ideologico.

A Napoli Piero De Luca figlio del governatore Vincenzo, risulterebbe essere ancora sotto processo per bancarotta, mentre in Puglia Lello Di Gioia è indagato per induzione indebita /(poche settimane fa di lui si è occupato la Giunta per le autorizzazioni per l’utilizzo delle intercettazioni). Ma se restiamo sulla sponda Pd, altri nomi di peso sono quello di Francesco Bonifazi, tesoriere del partito ai tempi di Matteo Renzi, indagato per finanziamenti illeciti e false fatture nella stessa inchiesta che arriva fino a Marcello De Vito; Luca Lotti, ex ministro dello Sport, per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio per favoreggiamento nell’inchiesta Consip; e Piero Fassino, accusato di turbativa d’asta nell’affaire Salone del Libro.


E Foza Italia? Anche qui, ovviamente, l’elenco è decisamente lungo. Ad attendere la sentenza in appello c’è Ugo Cappellacci, ex governatore sardo eletto alla Camera, condannato in primo grado a 2 anni e 6 mesi per il crac di Sept Italia.

Guai anche per un altro forzista: Antonio Angelucci, recordman di assenze al Senato nella scorsa legislatura e nell’attuale, è stato anche condannato in primo grado a un anno e 4 mesi per truffa e falso per i contributi pubblici ai suoi giornali, Libero e Il Riformista, e nel frattempo è imputato per truffa al sistema sanitario laziale (il pm ha chiesto una condanna a 15 anni) e indagato – notizia proprio di ieri – per istigazione alla corruzione.

Non poteva mancare, ancora, Luigi Cesaro. Finito in diverse inchieste per presunti rapporti con i Casalesi, l’ultima vicenda per cui risulta indagato (insieme peraltro al deputato Antonio Pentangelo) è l’affare “Ex Cirio” dal nome dell’area industriale dismessa a Castellamare di Stabia e interessata da un progetto di ristrutturazione che negli anni ha visto numerosi blocchi per mancanza di autorizzazioni e, stando alla Procura, altrettanti numerosi tentativi di far ripartire le opere di riconversione, cercando di procurarsi i permessi.

Nell’elenco di chi ha guai con la giustizia c’è anche qualche onorevole del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Oltre alla già citata Montaruli, infatti, per motivi analoghi (spese pazze) ma in Umbria, risulterebbe ancora indagato il senatore Franco Zaffini. Per la rimborsopoli marchigiana, infine, la Cassazione un anno fa ha annullato il non luogo a procedere per 54 persone. Tra di loro ci sarebbe anche il deputato Francesco Acquaroli. Per tutti loro si dovrebbe ripartire dall’Appello.
(fonte lanotiziagiornale)

venerdì 15 marzo 2019

Perchè i lavoratori pagano ancora i sindacati?


 
La reazione negativa dei sindacati alla proposta del governo di creare un salario minimo garantito per chi lavora, la dice lunga sull’ipocrisia di questi personaggi.
Non si capisce perché tanti lavoratori, per scelta o per obbligo di aziende con grossi numeri, ancora diano parte del loro stipendio a soggetti che, invece di tutelare i loro interessi come sarebbe loro dovere e come hanno fatto in passato, siano sempre più dal lato delle aziende che sempre più sfruttano i lavoratori pagandoli una miseria.


 
Ormai da tempo la sensazione che si ha è quella che sul lavoro si stia tornando indietro, ogni giorno si perde un piccolo pezzo dei diritti conquistati con fatica e, a ogni rinnovo di contratto, gli stipendi, i più bassi della zona euro, non aumentano più e in certi casi addirittura calano.
 
Questo nonostante la vita sia sempre più cara e l’inflazione, inesistente agli occhi dei burocrati e dell'Istat, galoppa inesorabile.
(MS)
(Pubblicato su Libero del 15 marzo 2019)

lunedì 11 marzo 2019

Non se ne può più della Tav!


Questo tira e molla del governo tra le due forze politiche in campo sulla Tav sta diventando nauseante.
Entrambi i partiti rimandano una decisione definitiva solo per la paura di perdere voti in vista delle europee.
 
L’Italia ha centinaia di opere incompiute dove si sono spesi soldi inutilmente solo per far guadagnare qualche “amico” e far girare qualche tangente. La Tav sta diventando l’ennesimo totem politico dove non si guarda l’interesse del paese ma si fa solo la conta dei voti sia in un senso che nell’altro.


 
Il governo del cambiamento sta facendo esattamente ciò che tutti i governi hanno sempre fatto, perdere tempo sperando che i problemi ricadano su altri, quelli che verranno dopo e che hanno aspettato, senza neanche doverci mettere troppo tempo, di vedere passare i “cadaveri”.  

M5S e Lega sono sulla buona strada per fare tutto ciò.
(MS)
(pubblicato su LIbero del 13 marzo 2019)