Sul Fatto Quotidiano del 26 novembre 2014 Marco Travaglio scrive una finta lettera da italiano medio che rappresenta i pensieri di tanti italiani. Bellissimo pezzo.
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LETTERA DEL MILITE IGNOTO-Marco Travaglio
Salve, sono l’Italiano Medio. Non mi sento particolarmente né di destra
né di sinistra: le ho viste all’opera tutt’e due e non mi sono parse un
granché. Il centro, poi, non ho mai
capito che roba sia, sebbene abbia letto per anni il Corriere della
Sera, o forse proprio per questo. Non ho mai chiesto la luna, anzi sono
uno che si accontenta di poco: vorrei essere governato da gente normale
più o meno come me, mediamente perbene e abbastanza competente, che
parla solo quando ha qualcosa da dire, e per il resto lavora. Siccome
poi pago le tasse (anzi, me le trattengono: sono un lavoratore
dipendente in attesa della pensione, se mai la vedrò), gradirei saperle
utilizzate per servizi pubblici decenti e non sperperate in sprechi o
rubate in furti vari. Tutto qui.
Nella Prima Repubblica votavo i
partiti di governo per paura dei comunisti, anche se non riuscivo a
scrollarmi di dosso la fastidiosa impressione che Berlinguer fosse
meglio di Andreotti e di Craxi (a volte quel pensiero molesto si
estendeva perfino ad Almirante, almeno quando appariva in tv, ma
riuscivo a scacciarlo subito). Poi è arrivata Tangentopoli e
istintivamente ho simpatizzato per i magistrati di Mani Pulite, che
trattavano i ladri di Stato esattamente come i ladri di polli. Mi pareva
di aver letto da qualche parte, credo nella Costituzione, che è giusto
così. Ma da un certo momento in poi sentii dire in tv e lessi sul
Corriere che a furia di ripetere “non rubare” rischiavo di ammalarmi di
giustizialismo, così smisi.
Quel Berlusconi che si affacciava sulla
scena, tutto denti e miliardi, non è che mi convincesse molto, ma tutti
dicevano che era un grande imprenditore che si era fatto tutto da sé e
vai a sapere che si era fatto dare una mano da gente poco
raccomandabile: la prima volta lo votai, vedi mai che di quel successo
nella vita privata ne portasse un po’ anche in quella pubblica. Me ne
pentii subito, anche perché durò meno di un anno e badò solo agli affari
suoi: a me però bastarono due facce, quelle di Previti e Dell’Utri,
furono più utili di mille politologi.
Nel '96 votai Ulivo: mi stava
simpatico Prodi perché non è un comunista, ma un tipo normale, che non
le spara grosse e parla, anzi borbotta poco, un po’ come me. Ci portò in
Europa con l’aiuto di Ciampi, e mi parve una cosa buona: il biglietto
d’ingresso, l’Eurotassa, fu la prima imposta che pagai volentieri, anche
perché ce ne restituirono un pezzo. Ma durò poco anche lui: D’Alema
diceva che un Paese normale non può essere governato da un professore
che non ha dietro un grande partito tutto suo e non dialoga con
Berlusconi per rifare la Costituzione. Sarà. A me la Costituzione, per
quel poco che ne so, non pare malaccio, però tutti dicevano che andava
rifatta e intanto Prodi cadde. Dei governi “normali” al posto del suo,
D’Alema e Amato, non ricordo granché. Se non che fecero tornare
Berlusconi, stavolta per cinque anni: un disastro epocale, solo
affaracci suoi (s’arrabbiò perfino la mafia, sentendosi trascurata).
Quando il Cavaliere cancellò il falso in bilancio e cacciò pure Enzo
Biagi dalla tv, trattandolo come Renato Curcio, partecipai anche a un
paio di girotondi. Poi però il Corriere disse che eravamo dei pericolosi
manettari nemici del dialogo, e allora smisi.
Nel 2008 volevo
astenermi, ma poi mi trascinai a rivotare Prodi, che restava il meno
peggio. Lo rifecero fuori un paio d’anni dopo: il tempo di mandar fuori
di galera 30 mila delinquenti (non ho mai capito perché, quando le
carceri scoppiano, non ne apriamo di nuove, ma spalanchiamo le porte di
quelle vecchie). Quattro anni di film horror: “Il ritorno del morto
vivente”. Poi arrivò Monti con i suoi tecnici e respirai: vabbè, almeno
hanno studiato e sanno far di conto. Anch’io facevo i conti: mi mancava
qualche mese alla pensione. Ma subito una ministra che piangeva con la
faccia cattiva mi spiegò che ero un nababbo parassita come tutti i
pensionati, insomma dovevo lavorare altri 7-8 anni.
E mio figlio,
che aveva appena trovato lavoro, era un privilegiato e doveva
vergognarsi per via dell’articolo 18, che infatti fu dimezzato. Boh. Mi
vennero dei cattivi pensieri anche sui tecnici e mi buttai sui 5Stelle.
Mica per Grillo: per quei ragazzi puliti che entravano in Parlamento
senza un euro di soldi pubblici. Grande vittoria. Speravo che
cambiassero un po’ le cose, ma furono subito messi ai margini. Per farmi
capire che il mio voto contava zero, tornarono le larghe intese e, per
maggior chiarezza, fu pure rieletto Napolitano. Letta durò nove mesi,
poi arrivò Renzi: diceva cose giuste, più o meno le stesse di Grillo.
Intanto i 5Stelle litigavano e si espellevano: sospetto che qualcosa di
buono stiano facendo, in Parlamento, ma è solo un’impressione. In tv non
li vedo mai e il computer non fa per me. Così, alle Europee, ho votato
Renzi. Grande vittoria. Ma me ne son subito pentito: il giovanotto ha
cominciato a fare il contrario di quel che diceva. Ha riesumato il morto
vivente, ha ricominciato a menarla con la Costituzione da cambiare e
con i parlamentari da nominare. Ha perfino ripetuto che mio figlio è un
privilegiato, sempre per l’articolo 18. Domenica mi sono astenuto, come i
due terzi dei miei corregionali: stavolta capiranno il messaggio forte e
chiaro. Macché: il tipetto dice che siamo secondari. Ma che devo fare
per farmi ascoltare? Se voto, non conto niente. Se non voto, idem. Dovrò
mica mettermi a menare, alla mia età?
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Grande, grandissimo, Punto!
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