giovedì 3 maggio 2018

I (troppi) soldi pubblici ai giornali nel 2016

Il 31 marzo il dipartimento dell’editoria di palazzo Chigi ha chiuso l’assegnazione dei contributi del 2016 alle imprese editrici, circa 52 milioni di euro divisi per 53 testate, a cui si aggiungono i fondi destinati ad altre specifiche categorie di impresa editoriale. 
La testata che ha ricevuto il finanziamento più cospiscuo è Avvenire, 5 milioni e 900 mila euro, seguita da Italia Oggi, 4 milioni e 800 mila euro, Libero, con 3 milioni e 700 mila euro e da Il Manifesto con 3 milioni.

Purtroppo fino al 2017 compreso i contributi all’editoria verranno distribuiti secondo i vecchi criteri, ossia ai giornali organi di partiti politici, quelli editi da cooperative di giornalisti, e quelli riferimento di minoranze linguistiche, di comunità italiane all’estero, di enti morali. 


Fortunatamente dal 2018 vi sarà una stretta. Entra infatti in vigore la legge approvata nel 2017 che ha introdotto nuovi criteri per i contributi diretti all’ditoria: dalle imprese che possono beneficiare del sostegno pubblico sono stati eliminati «gli organi di informazione dei partiti, movimenti politici e sindacali», e sono stati stabiliti alcuni obblighi per tutte le altre per poter avere i fondi come per esempio editare anche una versione digitale del quotidiano o del periodico.


Il provvedimento stabilisce le categorie delle imprese legittimate a chiedere il sostegno pubblico, i requisiti di accesso al contributo e i criteri che presiedono alla sua determinazione quantitativa, oltre al procedimento di liquidazione dei contributi. Possono essere destinatarie dei contributi all’editoria le imprese editrici costituite nella forma di:

  1. cooperative giornalistiche che editano quotidiani e periodici;
  2. imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale è detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti senza fini di lucro, limitatamente ad un periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore della legge di delega;
  3. enti senza fini di lucro ovvero imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale è interamente detenuto da tali enti;
  4. imprese editrici che editano quotidiani e periodici espressione di minoranze linguistiche;
  5. imprese editrici, enti ed associazioni che editano periodici per non vedenti e ipovedenti;
  6. associazioni dei consumatori che editano periodici in materia di tutela del consumatore, iscritte nell’elenco istituito dal Codice del consumo;
  7. imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani editi e diffusi all’estero o editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero.


Sono invece espressamente escluse le imprese editoriali quotate in Borsa, le imprese editrici di organi d’informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali, nonché le pubblicazioni specialistiche. Per alcune tipologie di imprese editrici si riduce inoltre il limite dei cinque anni di costituzione dell’impresa e di pubblicazione della testata, portandolo a due, e si consente perciò l’accesso ai contributi a nuove iniziative editoriali. 
I requisiti di accesso sono resi più rigorosi, richiedendo fra l’altro che l’edizione cartacea sia affiancata da quella digitale, e prevedendo obblighi sull''applicazione dei contratti di lavoro.


Ancora troppo perchè ogni quotidiano, rivista, giornale, ecc. dovrebbe vivere con le proprie entrate come fanno già altri quotidiani (es. Il Fatto Q., La Verità).
Chi vuole farsi un'idea dei giornali che prendono i nostri soldini, ecco le foto. E non sono spiccioli. 







Nessun commento:

Posta un commento